(da il Foglio.it)
Gli omosessuali italiani contro i cappi in piazza di Teheran Nel regime khomeinista essere gay è un reato. Per sodomia si finisce sulla forca, 4000 esecuzioni dal 1980 Roma. L’articolo 109 del codice penale iraniano condanna l’omosessualità. E per chi commette il “lavat” – il reato di sodomia – è prevista la morte, sebbene, come specifica un report del 2007 di Amnesty International, la decisione spetti “alla discrezione del giudice”. I magistrati di Teheran si sono dimostrati piuttosto inclini alla discrezionalità, ma a senso unico: dal 1980 a oggi circa quattromila “raguus”, gli effeminati, i “frocetti”, sono passati tra le mani impietose del boia. Un’attività trentennale di sterminio, scoperta solo negli ultimi dieci anni dall’opinione pubblica occidentale: la barbarie delle impiccagioni in piazza, delle torture praticate dalla “polizia morale” al fine di strappare una confessione: sono un “raguus” e pratico la sodomia. La confessione, estorta con la violenza, è la condizione necessaria – spiega una denuncia di Amnesty – per procedere con la condanna a morte. Mahmud Ahmadinejad, il presidente iraniano che ospite alla Columbia University di New York l’anno scorso ha negato l’esistenza di omossessuali nel proprio paese – “da noi in Iran non c’è ne sono” – in soli tre anni si è distinto per ferocia. Due mesi dopo la visita di Ahmadinejad alla Columbia, in Iran è stato ucciso Makwan Moloudzadeh, un ragazzo di ventun’anni colpevole di aver avuto rapporti sessuali con un altro maschio. Una relazione consumata otto anni prima del processo, quando Makwan aveva solo tredici anni. E’ stato ucciso la mattina del 5 dicembre, a Kermanshah, lembo estremo dell’Iran, al confine con il Kurdistan, nella grande città aperta che gli imperatori dell’antica Persia avevano eletta capitale culturale dell’Impero. Appeso a una corda nel cortile della prigione, a sorpresa, quasi di nascosto, perché di solito le esecuzioni di omosessuali, al tempo di Ahmadinejad, avvengono in pubblico, per dare l’esempio. Anche per strada. Si viene scaricati di fretta da un pick up Ford, prostrati a terra da uomini incappucciati, e lapidati o impiccati sul posto. E’ accaduto migliaia di volte – quattromila morti – dalla presa del potere dei khomeinisti a Teheran. Nel 2005, anno primo del governo Ahmadinejad, l’opinione pubblica mondiale è rimasta inorridita dalle foto di due ragazzini, di diciotto e sedici anni, appesi al cappio, sulla piazza di Mashhad, la città santuario degli sciiti; due bambini colpevoli anche loro, perché sodomiti, omosessuali. Si chiamavano Mahmoud Asgari e Ayaz Marhoni, erano noti in città per i loro gusti “anomali”, così quando una sera sono scomparsi, arrestati dalla polizia morale, dalla guardia dell’ortodossia, nessuno si è scomposto. Condannati alla frusta – duecentoventotto colpi si racconta – i due ragazzi hanno trascorso quattordici mesi in prigione, prima d’essere ammazzati. Le foto dei loro corpi senza vita hanno fatto il giro del mondo, sgomento. Il governo olandese annunciò la sospensione d’urgenza dei rimpatri di cittadini iraniani illegalmente immigrati e modificò le norme di asilo, estendendo tra le motivazioni politiche e razziali, nel caso dei migranti iraniani, anche l’omosessualità. Per ridurre le critiche, il governo di Ahmadinejad – raccontano gli operatori umanitari – spesso affianca al reato di omosessualità delle accuse diverse, come il furto o lo stupro, immaginando così di rendere più accettabile all’occidente la condanna a morte dei “raguus”. Dal 2005 il regime è anche più attento a che le foto degli impiccati non escano dal paese. “Forse quando Ahmadinejad dice che in Iran non ci sono omosessuali, crede di dire la verità – sostiene Franco Grillini, leader morale dell’Arcigay – Hanno avvilito migliaia di esseri umani, al punto da costringerli a nascondersi, per evitare la morte”. Quando i giovani Mahmoud e Ayaz furono impiccati, in Italia, Grillini, presidente onorario dell’Arcigay e allora senatore dei Ds, presentò un’interpellanza parlamentare perché “di fronte all’enormità dell’omicidio omofobico non si può tacere”. Così oggi, a pochi giorni dal previsto arrivo a Roma del presidente iraniano, Grillini non ha dubbi: “Non è il benvenuto, è un mostro come Mubutu, il sanguinario dittatore omofobo del Congo. Arriva nella settimana del Gay Pride – dice – e ci noterà, perché faremo una conferenza stampa, un presidio. Ci stiamo lavorando”. Le associazioni omosessuali organizzano una grande manifestazione con i Radicali, con in prima fila Sergio Rovasio, ma anche con cattolici, ebrei e dissidenti iraniani. “Una mobilitazione collettiva – racconta Anita Friedman, ideatrice dell’associazione ebraica Gerusalemme libera – che probabilmente confluirà con quella del Riformista, martedì 3 giugno alle ore 20 in piazza di Spagna. Sarà il nostro ‘non benvenuto’ ad Ahmadinejad”.
Gli omosessuali italiani contro i cappi in piazza di Teheran Nel regime khomeinista essere gay è un reato. Per sodomia si finisce sulla forca, 4000 esecuzioni dal 1980 Roma. L’articolo 109 del codice penale iraniano condanna l’omosessualità. E per chi commette il “lavat” – il reato di sodomia – è prevista la morte, sebbene, come specifica un report del 2007 di Amnesty International, la decisione spetti “alla discrezione del giudice”. I magistrati di Teheran si sono dimostrati piuttosto inclini alla discrezionalità, ma a senso unico: dal 1980 a oggi circa quattromila “raguus”, gli effeminati, i “frocetti”, sono passati tra le mani impietose del boia. Un’attività trentennale di sterminio, scoperta solo negli ultimi dieci anni dall’opinione pubblica occidentale: la barbarie delle impiccagioni in piazza, delle torture praticate dalla “polizia morale” al fine di strappare una confessione: sono un “raguus” e pratico la sodomia. La confessione, estorta con la violenza, è la condizione necessaria – spiega una denuncia di Amnesty – per procedere con la condanna a morte. Mahmud Ahmadinejad, il presidente iraniano che ospite alla Columbia University di New York l’anno scorso ha negato l’esistenza di omossessuali nel proprio paese – “da noi in Iran non c’è ne sono” – in soli tre anni si è distinto per ferocia. Due mesi dopo la visita di Ahmadinejad alla Columbia, in Iran è stato ucciso Makwan Moloudzadeh, un ragazzo di ventun’anni colpevole di aver avuto rapporti sessuali con un altro maschio. Una relazione consumata otto anni prima del processo, quando Makwan aveva solo tredici anni. E’ stato ucciso la mattina del 5 dicembre, a Kermanshah, lembo estremo dell’Iran, al confine con il Kurdistan, nella grande città aperta che gli imperatori dell’antica Persia avevano eletta capitale culturale dell’Impero. Appeso a una corda nel cortile della prigione, a sorpresa, quasi di nascosto, perché di solito le esecuzioni di omosessuali, al tempo di Ahmadinejad, avvengono in pubblico, per dare l’esempio. Anche per strada. Si viene scaricati di fretta da un pick up Ford, prostrati a terra da uomini incappucciati, e lapidati o impiccati sul posto. E’ accaduto migliaia di volte – quattromila morti – dalla presa del potere dei khomeinisti a Teheran. Nel 2005, anno primo del governo Ahmadinejad, l’opinione pubblica mondiale è rimasta inorridita dalle foto di due ragazzini, di diciotto e sedici anni, appesi al cappio, sulla piazza di Mashhad, la città santuario degli sciiti; due bambini colpevoli anche loro, perché sodomiti, omosessuali. Si chiamavano Mahmoud Asgari e Ayaz Marhoni, erano noti in città per i loro gusti “anomali”, così quando una sera sono scomparsi, arrestati dalla polizia morale, dalla guardia dell’ortodossia, nessuno si è scomposto. Condannati alla frusta – duecentoventotto colpi si racconta – i due ragazzi hanno trascorso quattordici mesi in prigione, prima d’essere ammazzati. Le foto dei loro corpi senza vita hanno fatto il giro del mondo, sgomento. Il governo olandese annunciò la sospensione d’urgenza dei rimpatri di cittadini iraniani illegalmente immigrati e modificò le norme di asilo, estendendo tra le motivazioni politiche e razziali, nel caso dei migranti iraniani, anche l’omosessualità. Per ridurre le critiche, il governo di Ahmadinejad – raccontano gli operatori umanitari – spesso affianca al reato di omosessualità delle accuse diverse, come il furto o lo stupro, immaginando così di rendere più accettabile all’occidente la condanna a morte dei “raguus”. Dal 2005 il regime è anche più attento a che le foto degli impiccati non escano dal paese. “Forse quando Ahmadinejad dice che in Iran non ci sono omosessuali, crede di dire la verità – sostiene Franco Grillini, leader morale dell’Arcigay – Hanno avvilito migliaia di esseri umani, al punto da costringerli a nascondersi, per evitare la morte”. Quando i giovani Mahmoud e Ayaz furono impiccati, in Italia, Grillini, presidente onorario dell’Arcigay e allora senatore dei Ds, presentò un’interpellanza parlamentare perché “di fronte all’enormità dell’omicidio omofobico non si può tacere”. Così oggi, a pochi giorni dal previsto arrivo a Roma del presidente iraniano, Grillini non ha dubbi: “Non è il benvenuto, è un mostro come Mubutu, il sanguinario dittatore omofobo del Congo. Arriva nella settimana del Gay Pride – dice – e ci noterà, perché faremo una conferenza stampa, un presidio. Ci stiamo lavorando”. Le associazioni omosessuali organizzano una grande manifestazione con i Radicali, con in prima fila Sergio Rovasio, ma anche con cattolici, ebrei e dissidenti iraniani. “Una mobilitazione collettiva – racconta Anita Friedman, ideatrice dell’associazione ebraica Gerusalemme libera – che probabilmente confluirà con quella del Riformista, martedì 3 giugno alle ore 20 in piazza di Spagna. Sarà il nostro ‘non benvenuto’ ad Ahmadinejad”.
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